Efficacia del titolo esecutivo nel confronti dei singoli condomini

La sentenza sotto riportata ribadisce il principio, secondo cui il titolo esecutivo formatosi nei confronti del condominio è azionabile, pure, contro i singoli condomini in proporzione alle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli art. 752 e art. 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie.
Tale principio era già stato enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 9148/08 (che si riporta in questa pagina sotto a quella in commento).
Nel caso considerato, il ricorrente riteneva che la decisione del Tribunale fosse errata perché non aveva dato alcuna rilevanza al fatto che egli avesse definito il giudizio con transazione.

Tale argomentazione non è stata accolta dalla Suprema Corte, la quale ha sottolineato che "ciò che rileva ai fini dell'azione esecutiva è l'individuazione dei soggetti, legittimati rispettivamente ad agire in executivis ed a subire l'esecuzione; questa individuazione va fatta esclusivamente in base al titolo esecutivo, a nulla rilevando - contrariamente a quanto sembra sostenere il ricorrente - che nel giudizio concluso con la sentenza costituente titolo esecutivo fossero parti altri soggetti”.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 8 novembre 2012 - 20 febbraio 2013, n. 4238

Svolgimento del processo

 

1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 19 novembre 2008, il Tribunale di Roma ha accolto l'opposizione all'esecuzione proposta da N.F. nei confronti di S.G. nell'ambito della procedura esecutiva per pignoramento presso terzi promossa da quest'ultimo sulla scorta della sentenza del Tribunale di Roma n. 13478/06.

L'opponente aveva dedotto che con quest'ultima sentenza il Condominio di via (OMISSIS), era stato condannato a pagare al condomino S. la somma di Euro 100.000,00, oltre interessi quantificati in Euro 70.938,76 (per danni provocati da infiltrazioni nel locale ad uso magazzino in comproprietà tra lo S. ed il N.) e che il precetto era stato intimato nei suoi confronti, quale condomino coobbligato, per Euro 115.936,69, stante il mancato integrale pagamento da parte del Condominio; che del giudizio concluso con detta sentenza era stato parte anche l'esponente N., ma aveva definito transattivamente la controversia; che, a seguito dell'emissione dell'azionata sentenza, l'assemblea condominiale aveva deliberato di ripartire la spesa tra tutti i condomini, compresi gli attori, con addebito allo S. della somma di Euro 30.964,48; che il Condominio aveva pagato la somma di Euro 55.000,00; che, al massimo, egli avrebbe potuto rispondere per la somma corrispondente alla propria quota, pari ad Euro 7.067,69.

Aveva dedotto altresì la mancata notificazione del titolo esecutivo ed invalidità concernenti l'atto di pignoramento.

Nel giudizio si era costituito S.G. ed aveva resistito all'opposizione all'esecuzione, deducendo, in particolare, che, essendo il N. un condomino a tutti gli effetti, sarebbe stato tenuto in solido col Condominio al pagamento integrale del dovuto; aveva altresì dedotto che la delibera condominiale di ripartizione della spesa era stata impugnata.

Aveva contestato i motivi concernenti l'opposizione agli atti esecutivi.

Il Tribunale ha, come detto, accolto l'opposizione all'esecuzione e, per l'effetto ha dichiarato che S.G. aveva diritto di procedere ad esecuzione nei confronti di N.F. per la sola somma di Euro 2.985,23 anzichè di Euro 115.936,69; ha dichiarato inammissibile l'opposizione agli atti esecutivi; ha respinto la domanda al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., avanzata dall'opponente; ha condannato l'opposto, S. G., al pagamento delle spese di lite, liquidate complessivamente in Euro 6.000,00, oltre accessori.

2.- Avverso la sentenza N.F. propone ricorso affidato a due motivi.

S.G. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a due motivi.

N.F. resiste con controricorso al ricorso incidentale; deposita, inoltre, memoria ex art. 378 c.p.c..

Il Collegio ha raccomandato la motivazione semplificata.

 

Motivi della decisione

 

1.- Col primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione del combinato disposto degli artt. 1132, 1253 e 2909 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè, secondo il ricorrente, il Tribunale, ai fini della valutazione di proponibilità dell'opposizione all'esecuzione nei suoi confronti, non avrebbe considerato che egli, nell'epigrafe della sentenza costituente il titolo esecutivo, vi figurava come parte del giudizio, soggetto autonomo e distinto dal Condominio, e che dalla motivazione e dal dispositivo risultava che egli aveva definito il giudizio con transazione, determinando la cessazione della materia del contendere.

Tale situazione avrebbe comportato, a detta del ricorrente, che egli non avrebbe potuto essere destinatario degli effetti della sentenza, in quanto dovrebbe prevalere il principio "delle parti in senso formale".

1.1.- Ritiene il Collegio che il motivo sia infondato. Premesso il principio, riconosciuto pure dal ricorrente, per il quale il titolo esecutivo formatosi nei confronti del Condominio è azionabile anche contro i singoli condomini (Cass. n. 20304/04; cfr. anche, da ultimo, Cass. n. 12911/12), sia pure in proporzione delle rispettive quote (a seguito del principio di diritto fissato da Cass. S.U. n. 9148/08), esso va applicato anche al caso di specie.

Ed invero, la sentenza del Tribunale di Roma n. 13478/06, posta a fondamento dell'azione esecutiva da parte di S.G., contiene una condanna a favore soltanto di quest'ultimo ed a carico soltanto del Condominio; pur essendo stato N.F. parte del giudizio concluso con la detta sentenza, è incontestato che le domande fossero state originariamente proposte, in cumulo tra loro, quindi separatamente, dai predetti S. e N., ciascuno proquota (oltre che da S.C., con riguardo ad altro locale) e che N.F. aveva transatto la lite prima della pronuncia della sentenza predetta, tanto è vero che questa dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda da lui avanzata.

Ne segue che il titolo esecutivo costituito dalla sentenza di condanna individua come unici soggetti legittimati, attivamente e passivamente, riguardo al pagamento della somma liquidata in sentenza a titolo di risarcimento danni, S.G. (e S. C., con posizione qui irrilevante), da un lato, ed il Condominio, dall'altro.

Ed invero, ciò che rileva ai fini dell'azione esecutiva è l'individuazione dei soggetti, legittimati rispettivamente ad agire in executivis ed a subire l'esecuzione; questa individuazione va fatta esclusivamente in base al titolo esecutivo, a nulla rilevando - contrariamente a quanto sembra sostenere il ricorrente - che nel giudizio concluso con la sentenza costituente titolo esecutivo fossero parti altri soggetti. Nel caso di specie, peraltro, la ragione per la quale la pronuncia di condanna non è stata emessa (anche) in favore di N.F. è indicata nel titolo stesso, trattandosi di parte che, avendo definito transattivamente il giudizio, si è sentita dichiarare cessata la materia del contendere rispetto alla propria originaria domanda di condanna.

E' corretta quindi la statuizione del giudice di merito che, in applicazione del principio di diritto sopra richiamato, ha ritenuto validi, nei confronti di N.F., quale condomino del Condominio destinatario della condanna, il precetto ed il pignoramento posti in essere da parte di S.G., essendo questi il soggetto in favore del quale la condanna è stata pronunciata.

2.- Col secondo motivo del ricorso principale si denuncia violazione dell'art. 96 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, al fine di sostenere che la motivazione della sentenza sarebbe insufficiente relativamente al rigetto della domanda di condanna dell'opposto S. al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata avanzata dall'opponente N.. Secondo il ricorrente, è lacunosa la motivazione che ha giustificato l'azione esecutiva iniziata dallo S. per l'intero, in ragione del fatto che, all'epoca, non era ancora intervenuta la sentenza a Sezioni Unite n. 9148/08 (che ha affermato la responsabilità parziale dei condomini anche nei rapporti dei terzi). Si tratterebbe infatti di motivazione inidonea ad escludere la mancanza di normale prudenza, perchè non avrebbe considerato che, agendo esecutivamente per la somma di Euro 115.936,69, lo S. non detrasse le somme corrisposte dal Condominio nelle more tra il precetto ed il pignoramento nè quella che il medesimo S. avrebbe dovuto imputare proquota a sè medesimo.

2.1.- Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Va qui ribadito che la valutazione sulla sussistenza del presupposto soggettivo della responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c., comma 2, cioè l'avere il creditore agito senza la normale prudenza, spetta al giudice di merito e che la relativa valutazione non è sindacabile in cassazione se congruamente motivata (cfr. Cass. n. 327/10). Nel caso di specie, la congruità della motivazione emerge dal richiamo fatto alla sentenza a Sezioni Unite su citata;

quanto agli altri elementi menzionati dal ricorrente, il giudice del merito non li ha affatto trascurati, ed anzi, ne ha dato conto dettagliatamente per pervenire all'accoglimento soltanto parziale dell'opposizione; si deve perciò ritenere che li abbia ritenuti irrilevanti ai fini del giudizio di responsabilità aggravata, non certo che li abbia obliterati. Si tratta di un apprezzamento di fatto sul quale questa Corte non può ritornare, essendo la relativa motivazione logicamente e giuridicamente corretta e non lacunosa, si da doversi escludere il vizio di cui all'art. 360 c.p.c. n. 5, quanto al denunciato profilo dell'insufficienza (cfr. Cass. n. 2272/07).

3.- Col primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione ovvero erronea applicazione dell'art. 91 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, al fine di censurare la condanna dell'opposto al pagamento delle spese del giudizio di opposizione, malgrado il rigetto dell'opposizione agli atti esecutivi (perchè inammissibile), il rigetto dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva (sostenuta, in via principale, dall'opponente), il riconoscimento dell'esistenza del diritto azionabile esecutivamente da parte dello S. ed, infine, la sopravvenienza, soltanto dopo il pignoramento, della sentenza a Sezioni Unite n. 9148/08.

3.1.- Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha fatto applicazione del principio della soccombenza espresso proprio dall'art. 91 c.p.c., di cui è malamente invocata la violazione.

L'opposizione all'esecuzione è stata accolta, per di più per una parte di notevole consistenza (è stato riconosciuto, infatti, un credito di Euro 2.985,23, a fronte di quello indicato in precetto di Euro 115.936,69) e quindi l'opponente, proprio in ragione di detto principio, non avrebbe potuto essere condannato al pagamento delle spese del giudizio in favore dell'opposto, soccombente.

4.- Col secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia, in via gradata, violazione ovvero erronea applicazione dell'art. 92 c.p.c., u.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, al fine di censurare la mancata compensazione delle spese del giudizio di opposizione per reciproca soccombenza, in considerazione di quanto già dedotto col primo motivo del ricorso incidentale.

4.1.- Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Va ribadito il principio per il quale con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le; spese di lite, e ciò sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell'ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. n. 406/08).

5.- In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati e le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate per la reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte, decidendo sui ricorsi, principale ed incidentale, li rigetta; compensa le spese del giudizio di cassazione.

 


La sentenza sopra riportata richiama direttamente la pronuncia n. 9148/2008 delle Sezioni Unite della Cassazione, la quali hanno statuito che le obbligazioni contratte dall’amministratore di condominio nell’interesse di tutti i condomini non vedono la solidarietà passiva degli stessi condomini atteso che ciascuno deve rispondere solo ed esclusivamente per la propria quota.

Tale pronuncia è stata particolarmente importante, perché essa ha modificato il precedente orientamento della Corte, secondo il quale ciascuno dei condomini era obbligato per l’intero salvo il diritto di regresso nei confronti degli altri condomini insolventi (vedi ex multis Cass. civ. n. 14593/2004 e n. 17563/2005)

Secodo qusto importante arresto, invece, si debbono applicare al caso di specie le stesse norme che si utilizzano in tema di ripartizione dei debiti ereditari tra gli eredi ex artt. 754 e 1295 c.c..

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 8 aprile 2008, n. 9148

 

(Pres. Carbone - est. Corona)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente

Dott. CORONA Rafaele - rel. Presidente di sezione

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Consigliere

Dott. VITRONE Ugo - Consigliere

Dott. VIDIRI Guido - Consigliere

Dott. SETTIMJ Giovanni - Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere

Dott. SALME' Giuseppe - Consigliere

Dott. SEGRETO Antonio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA' E. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA 29, presso lo studio dell'avvocato VASI GIORGIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PIERLUIGI COLIVA, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

R.A., RA.AD., RA.AL., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. SCARABELLI 21, presso lo studio dell'avvocato RUPERTO TOMMASO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato CLAUDIO CHIURAZZI, giuste deleghe a margine dei controricorsi;

- controricorrenti -

e contro

CONDOMINIO VIA ***;

- intimato -

avverso la sentenza n. 305/03 della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositata il 19/02/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/03/08 dal Presidente Dott. Rafale CORONA;

uditi gli avvocati Pierluigi COLIVA, Claudio CHIURAZZI;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri motivi.

 

Svolgimento del processo

 

Con Decreto 24 marzo 1884, il Presidente del Tribunale di Bologna ingiunse al Condominio di via ***, ***, ed ai condomini A., Ad. e Ra.Al., C.U., B.G., M.D., T.A. ed alla società I.B.O. s.r.l. di pagare alla E. s.r.l. L. 66.800.276, quale residuo del corrispettivo per i lavori eseguiti nell'edificio condominiale.

Proposero opposizione con distinti atti di citazione A. e Ra.Ad., le quali dedussero l'inammissibilità della duplice condanna emessa sia a carico del condominio, sia nei loro confronti in via solidale, posto che avevano adempiuto pro quota alle obbligazioni assunte nei confronti della società E.; R. A. asserì di aver acquistato il solo diritto di usufrutto di una unità immobiliare in data 2 giugno 1993, quando i lavori commessi alla società E. erano stati già ultimati: in ogni caso, trattandosi di spese riguardanti opere di manutenzione straordinaria, esse erano a carico del nudo proprietario.

Riuniti i giudizi e chiamati in causa il Condominio, i condomini Q.I., B.T. e la società I.B.O. s.r.l., i quali chiesero il rigetto della domanda proposta con il ricorso per ingiunzione, con sentenza 28 aprile 2000 il Tribunale di Bologna revocò il decreto; con sentenza 19 febbraio 2003, la Corte d'Appello di Bologna respinse l'impugnazione proposta dalla società E..

Ha proposto ricorso per Cassazione con sei motivi la società E.; hanno resistito con controricorso A., Ad. e Ra.Al.. Non ha svolto attività difensiva l'intimato Condominio via ***, in persona dell'amministratore in carica.

La Seconda Sezione civile, con ordinanza 7 febbraio 2007, n. 2621, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, avendo ritenuto la sussistenza di un contrasto all'interno della sezione, posto che per un primo indirizzo (maggioritario) la responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni assunte dal condominio verso terzi avrebbe natura solidale, mentre per un secondo orientamento, decisamente minoritario, avrebbe vigore il principio della parziarietà, ovverosia dalla ripartizione tra i condomini delle obbligazioni assunte nell'interesse del condominio in proporzione alle rispettive quote.

Per la risoluzione del contrasto la causa viene alle Sezioni Unite civili.

 

Motivi della decisione

 

La società ricorrente lamenta:

1.1 con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 1115 e 1139 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3, cod. proc. civ. La giurisprudenza dominante, anche successivamente all'isolata sentenza n. 8530 del 1996, che aveva affermato la parziarietà, ha sempre sostenuto e continua a sostenere la natura solidale delle obbligazioni dei condomini;

1.2 con il secondo motivo, falsa applicazione degli artt. 1004 e 1005 cod. civ., ai senso dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., posto che la ripartizione delle spese fra nudo proprietario usufruttuario operano nei rapporti interni e non sono opponibili al terzo creditore;

1.3 con il terzo motivo, violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., poiché la sentenza di primo grado aveva posto a fondamento della decisione ragioni diverse da quelle dedotte nell'opposizione al decreto ingiuntivo;

1.4 con il quarto motivo, omessa compensazione delle spese processuali con riferimento ad A. R.;

Con il quinto motivo, violazione dell'art. 91 cod. proc. civ., ai sensi degli artt. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., non sussistendo soccombenza nei confronti del Condominio, che era stato chiamato in giudizio da A. R.;

Con il sesto motivo, violazione dell'art. 63 disp. att., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., non aveva tenuto conto dell'orientamento della Suprema Corte, secondo cui l'acquirente di una unità immobiliare doveva essere tenuto alle spese solidalmente al suo dante causa.

2.1 La questione di diritto, che la Suprema Corte deve risolvere per decidere la controversia, riguarda la natura delle obbligazioni dei condomini.

Secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le obbligazioni assunte dal "condominio" verso i terzi ha natura solidale, avuto riguardo al principio generale stabilito dall'art. 1294 cod. civ. per l'ipotesi in cui più soggetti siano obbligati per la medesima prestazione: principio non derogato dall'art. 1123 cod. civ., che si limita a ripartire gli oneri all'interno del condominio (Cass., Sez. II, 5 aprile 1982, n. 2085; Cass., Sez. II, 17 aprile 1993, n. 4558; Cass., Sez. II, 30 luglio 2004, n. 14593; Cass., Sez. II, 31 agosto 2005, n. 17563).

Per l'indirizzo decisamente minoritario, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio dalla parziarietà: in proporzione alle rispettive quote, ai singoli partecipanti si imputano le obbligazioni assunte nell'interesse del "condominio", relativamente alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ. per le obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditali i coeredi concorrono in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori si ripartisce tra gli eredi in proporzione alle quote ereditarie (Cass., Sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530).

2.2 Per determinare i principi di diritto, che regolano le obbligazioni (contrattuali) unitarie le quali vincolano la pluralità di soggetti passivi - i condomini - occorre muovere dal fondamento della solidarietà.

L'assunto è che la solidarietà passiva scaturisca dalla contestuale presenza di diversi requisiti, in difetto dei quali - e di una precisa disposizione di legge - il criterio non si applica, non essendo sufficiente la comunanza del debito tra la pluralità dei debitori e l'identica causa dell'obbligazione; che nessuna specifica disposizione contempli la solidarietà tra i condomini, cui osta la parziarietà intrinseca della prestazione; che la solidarietà non possa ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo, in quanto il condominio non raffigura un "ente di gestione", ma una organizzazione pluralistica e l'amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandato conferito secondo le quote di ciascuno.

La disposizione dell'art. 1292 cod. civ. - è noto - si limita a descrivere il fenomeno e le sue conseguenze. Invero, sotto la rubrica "nozione della solidarietà", definisce l'obbligazione in solido quella in cui "più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione" e aggiunge che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità (con liberazione degli altri). L'art. 1294 cod. civ. stabilisce che "i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente". Nessuna delle norme, tuttavia, precisa la ratio della solidarietà, ovverosia ne chiarisce il fondamento (che risulta necessario, quanto meno, per risolvere i casi dubbi).

Stando all'interpretazione più accreditata, le obbligazioni solidali, indivisibili e parziarie raffigurano le risposte dell'ordinamento ai problemi derivanti dalla presenza di più debitori (o creditori), dalla unicità della causa dell'obbligazione (eadem causa obbligandi) e dalla unicità della prestazione (eadem res debita).

Mentre dalla pluralità dei debitori e dalla unicità della causa dell'obbligazione scaturiscono questioni che, nella specie, non rilevano, la categoria dell'idem debitum propone problemi tecnici considerevoli: in particolare, la unicità della prestazione che, per natura, è suscettibile di divisione, e la individuazione del vincolo della solidarietà rispetto alla prestazione la quale, nel suo sostrato di fatto, è naturalisticamente parziaria.

Semplificando categorie complesse ed assai elaborate, l'indivisibilità consiste nel modo di essere della prestazione: nel suo elemento oggettivo, specie laddove la insussistenza naturalistica della indivisibilità non è accompagnata dall'obbligo specifico imposto per legge a ciascun debitore di adempiere per l'intero. Quando la prestazione per natura non è indivisibile, la solidarietà dipende dalle norme e dai principi. La solidarietà raffigura un particolare atteggiamento nei rapporti esterni di una obbligazione intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Altrimenti, la struttura parziaria dell'obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse.

È pur vero che la solidarietà raffigura un principio riguardante i condebitori in genere. Ma il principio generale è valido laddove, in concreto, sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge per la attuazione congiunta del condebito. Sicuramente, quando la prestazione comune a ciascuno dei debitori è, allo stesso tempo, indivisibile. Se invece l'obbligazione è divisibile, salvo che dalla legge (espressamente) sia considerata solidale, il principio della solidarietà (passiva) va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall'art. 1314 cod. civ., secondo cui se più sono i debitori ed è la stessa la causa dell'obbligazione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte.

Poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di una obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell'obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente, divisibile viene meno uno dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell’obbligazione prevale.

Del resto, la solidarietà viene meno ogni qual volta la fonte dell'obbligazione comune è intimamente collegata con la titolarità delle res.

Le disposizioni di cui agli artt. 752, 754 e 1295 cod. civ. - che prevedono la parziarietà delle obbligazioni dei coeredi e la sostituzione, per effetto dell'apertura della successione, di una obbligazione nata unitaria con una pluralità di obbligazioni parziarie - esprimono il criterio di ordine generale del collegamento tra le obbligazioni e le res.

Per la verità, si tratta di obbligazioni immediatamente connesse con l'attribuzione ereditaria dei beni: di obbligazioni ricondotte alla titolarità dei beni ereditari in ragione dell'appartenenza della quota. Ciascun erede risponde soltanto della sua quota, in quanto è titolare di una quota di beni ereditari. Più in generale, laddove si riscontra lo stesso vincolo tra l'obbligazione e la quota e nella struttura dell'obbligazione, originata dalla medesima causa per una pluralità di obbligati, non sussiste il carattere della indivisibilità della prestazione, è ragionevole inferire che rispetto alla solidarietà non contemplata (espressamente) prevalga la struttura parziaria del vincolo.

2.3 Le direttive ermeneutiche esposte valgono per le obbligazioni facenti capo ai gruppi organizzati, ma non personificati.

Per ciò che concerne la struttura delle obbligazioni assunte nel cosiddetto interesse del "condominio" - in realtà, ascritte ai singoli condomini - si riscontrano certamente la pluralità dei debitori (i condomini) e la ‘eadem causa obbligandi’, la unicità della causa: il contratto da cui l'obbligazione ha origine. È discutibile, invece, la unicità della prestazione (idem debitum) che certamente è unica ed indivisibile per il creditore, il quale effettua una prestazione nell'interesse e in favore di tutti condomini (il rifacimento della facciata, l'impermeabilizzazione del tetto, la fornitura del carburante per il riscaldamento etc.). L'obbligazione dei condomini (condebitori), invece, consistendo in una somma di danaro, raffigura una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile.

Orbene, nessuna norma di legge espressamente dispone che il criterio della solidarietà si applichi alle obbligazioni dei condomini.

Non certo l'art. 1115 comma 1 cod. civ. Sotto la rubrica "obbligazioni solidali dei partecipanti", la norma stabilisce che ciascun partecipante può esigere che siano estinte le obbligazioni contratte in solido per la cosa comune e che la somma per estinguerle sia ricavata dal prezzo di vendita della stessa cosa. La disposizione, in quanto si riferisce alle obbligazioni contratte in solido dai comunisti per la cosa comune, ha valore meramente descrittivo, non prescrittivo: non stabilisce che le obbligazioni debbano essere contratte in solido, ma regola le obbligazioni che, concretamente, sono contratte in solido. A parte ciò, la disposizione non riguarda il condominio negli edifici e non si applica al condominio, in quanto regola l'ipotesi di vendita della cosa comune. La disposizione, infatti, contempla la cosa comune soggetta a divisione e non le cose, gli impianti ed i servizi comuni del fabbricato, i quali sono contrassegnati dalla normale indivisibilità ai sensi dell'art. 1119 cod. civ. e, comunque, dalla assoluta inespropriabilità.

D'altra parte, nelle obbligazioni dei condomini la parziarietà si riconduce all'art. 1123 cod. civ., interpretato valorizzando la relazione tra la titolarità della obbligazione e la quella della cosa. Si tratta di obbligazioni propter rem, che nascono come conseguenza dell'appartenenza in comune, in ragione della quota, delle cose, degli impianti e dei servizi e, solo in ragione della quota, a norma dell'art. 1123 cit., i condomini sono tenuti a contribuire alle spese per le parti comuni. Per la verità, la mera valenza interna del criterio di ripartizione raffigura un espediente elegante, ma privo di riscontro nei dati formali.

Se l'argomento che la ripartizione delle spese regolata dall'art. 1123 comma 1 cod. civ. riguardi il mero profilo interno non persuade, non convince neppure l'asserto che il comma 2 dello stesso art. 1223 - concernente la ripartizione delle spese per l'uso delle parti comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione all'uso che ciascuno può fame - renda impossibile l'attuazione parziaria all'esterno: con la conseguenza che, quanto all'attuazione, tutte le spese disciplinate dall'art. 1223 cit. devono essere regolate allo stesso modo.

Entrambe le ipotesi hanno in comune il collegamento con la res. Il primo comma riguarda le spese per la conservazione delle cose comuni, rispetto alle quali l'inerenza ai beni è immediata; il secondo comma concerne le spese per l'uso, in cui sussiste comunque il collegamento con le cose: l'obbligazione, ancorché influenzata nel quantum dalla misura dell'uso diverso, non prescinde dalla contitolarità delle parti comuni, che ne costituisce il fondamento. In ultima analisi, configurandosi entrambe le obbligazioni come obligationes propter rem, in quanto connesse con la titolarità del diritto reale sulle parti comuni, ed essendo queste obbligazioni comuni naturalisticamente divisibili ex parte debitoris, il vincolo solidale risulta inapplicabile e prevale la struttura intrinsecamente parziaria delle obbligazioni. D'altra parte, per la loro ripartizione in pratica si può sempre fare riferimento alle diverse tabelle millesimali relative alla proprietà ed alla misura dell'uso.

2.5 Né la solidarietà può ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo dei condomini.

Dalla giurisprudenza, il condominio si definisce come "ente di gestione", per dare conto del fatto che la legittimazione dell'amministratore non priva i singoli partecipanti della loro legittimazione ad agire in giudizio in difesa dei diritti relativi alle parti comuni; di avvalersi autonomamente dei mezzi di impugnazione; di intervenire nei giudizi intrapresi dall'amministratore, ecc..

Ma la figura dell'ente, ancorché di mera gestione, suppone che coloro i quali ne hanno la rappresentanza non vengano surrogati dai partecipanti. D'altra parte, gli enti di gestione in senso tecnico raffigurano una categoria definita ancorché non unitaria, ai quali dalle leggi sono assegnati compiti e responsabilità differenti e la disciplina eterogenea si adegua alle disparate finalità perseguite (art. 3 legge 22 dicembre 1956, n. 1589). Gli enti di gestione operano in concreto attraverso le società per azioni di diritto comune, delle quali detengono le partecipazioni azionarie e che organizzano nei modi più opportuni: in attuazione delle direttive governative, razionalizzano le attività controllate, coordinano i programmi e assicurano l'assistenza finanziaria mediante i fondi di dotazione. Per la struttura, gli enti di gestione si contrassegnano in ragione della soggettività (personalità giuridica pubblica) e dell'autonomia patrimoniale (la titolarità delle partecipazioni azionarie e del fondo di dotazione).

Orbene, nonostante l'opinabile rassomiglianza della funzione - il fatto che l'amministratore e l'assemblea gestiscano le parti comuni per conto dei condomini, ai quali le parti comuni appartengono - le ragguardevoli diversità della struttura dimostrano la inconsistenza del ripetuto e acritico riferimento dell'ente di gestione al condominio negli edifici.

Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell'interesse dei singoli partecipanti.

Secondo la giurisprudenza consolidata, poi, l'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato.

Orbene, la rappresentanza, non soltanto processuale, dell'amministratore del condominio è circoscritta alle attribuzioni - ai compiti ed ai poteri - stabilite dall'art. 1130 cod. civ..

In giudizio l'amministratore rappresenta i singoli condomini, i quali sono parti in causa nei limiti della loro quota (art. 1118 e 1123 cod. civ.). L'amministratore agisce in giudizio per la tutela dei diritti di ciascuno dei condomini, nei limiti della loro quota, e solo in questa misura ognuno dei condomini rappresentati deve rispondere delle conseguenze negative. Del resto, l'amministratore non ha certo il potere di impegnare i condomini al di là del diritto, che ciascuno di essi ha nella comunione, in virtù della legge, degli atti d'acquisto e delle convenzioni. In proporzione a tale diritto ogni partecipante concorre alla nomina dell'amministratore e in proporzione a tale diritto deve ritenersi che gli conferisca la rappresentanza in giudizio. Basti pensare che, nel caso in cui l'amministratore agisca o sia convenuto in giudizio per la tutela di un diritto, il quale fa capo solo a determinati condomini, soltanto i condomini interessati partecipano al giudizio ed essi soltanto rispondono delle conseguenze della lite.

Pertanto, l'amministratore - in quanto non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti dei suoi poteri, che non contemplano la modifica dei criteri di imputazione e di ripartizione delle spese stabiliti dall'art. 1123 c.c. - non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti della rispettiva quota.

 

2.5 Riepilogando, ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà. Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

2.6 Il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno.

 

Per concludere, la soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali comuni con pluralità di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale emergenti dalla realtà economica e sociale del condominio negli edifici.

Per la verità, la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l'amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell'adempimento.

Respinto il motivo principale, non merita accoglimento nessuno degli altri motivi di ricorso.

Non il secondo ed il sesto. Stando alle disposizioni sul condominio (art. 67 disp. att., del resto in conformità con quanto stabilito per le spese gravanti sull'usufrutto dagli artt. 1004 e 1005 cod. civ.), fanno carico all'usufruttuario le spese attinenti all'ordinaria amministrazione ed al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, mentre le innovazioni, le ricostruzioni e le spese di manutenzione straordinaria competono al proprietario: ma le spese fanno capo all'usufruttuario limitatamente al tempo in cui egli è titolare del diritto reale su cosa altrui. Correttamente, perciò, la Corte d'Appello non ha considerato responsabile A. R., in quanto l'usufrutto da lui era stato acquistato in epoca successiva alla data, in cui l'esecuzione dei lavori era stata commissionata ed eseguita.

Non il terzo motivo, posto che il giudice del merito ha preso in esame la questione di diritto inerente alla la controversia e ritenuta indispensabile per la decisione.

Non il quarto ed il quinto motivo, in quanto la decisione sulle spese processuali è rimessa al giudice del merito, con il solo limite di non condannare la parte interamente vittoriosa.

Avuto riguardo alla difficoltà della materia ed al contrasto esistente in giurisprudenza, si ravvisano i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese processuali.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

 

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